Il pellegrinaggio di Firri e Tirri: Via Romea Germanica

Il pellegrinaggio di Firri e Tirri: Via Romea Germanica

 

Vedrai che tutto sarà meraviglioso, quando giungerai alla fine del tuo pellegrinaggio, e lo sarà anche agli occhi di colui che mai vide bellezza (Kahlil Gibran)

In epoca medievale per devozione religiosa, ma soprattutto per espiare peccati gravi o sciogliere voti, era in uso mettersi in viaggio verso i luoghi simbolo della cristianità, quelli in cui erano passati Gesù e i suoi apostoli o nei quali erano custodite le loro reliquie. Tra le mete dei pellegrini c’erano Gerusalemme e la Terra Santa, Roma, dove avevano subìto il martirio i santi Pietro e Paolo e dove si poteva venerare il velo della Veronica, il sudario con impresso il volto di Cristo, e Santiago di Compostela, dove si narrava che fosse giunto per mare il corpo di san Giacomo il Maggiore.
Fra le strade di pellegrinaggio che portavano a Roma, dette per questo Vie romee, le più praticate erano la Via Francigena, la Via Romea Germanica, che confluiva nella Via Francigena nel tratto finale presso Montefiascone, nel Viterbese, e il complesso di vie denominato Romea Strata, che raccoglieva pellegrini provenienti dall’Europa centrorientale (le attuali Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia, Croazia), a livello internazionale ancora da riscoprire e da valorizzare ma già praticabili nella porzione italiana.
La Via Francigena, indicata tappa per tappa dall’arcivescovo di Canterbury Sigerico (950-994), partiva da Canterbury, nell’Inghilterra meridionale, quindi, attraversata La Manica, percorreva tutta la Francia, parte dell’attuale Svizzera e, varcate le Alpi dal colle del Gran San Bernardo, giungeva nella nostra Penisola incontrando località quali Aosta, Ivrea, Santhià, Vercelli, Tromello, Piacenza, Fiorenzuola d’Arda, Borgo San Donnino, Berceto, Pontremoli, Aulla, Santo Stefano Magra, Sarzana, Luni, Camaiore, Lucca, Porcari, Fucecchio, San Genesio, San Gimignano, Siena, San Quirico d’Orcia, Acquapendente, Santa Cristina a Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Sutri.

La Via Romea Germanica consigliata dall’abate Alberto di Stade (1190-1261) partiva da Stade, città della Lega anseatica, importante porto fluviale della Bassa Sassonia vicino ad Amburgo, collegato al Mare del Nord tramite il fiume Schwinge, immissario dell’Elba nel tratto prossimo alla foce. Questa via di pellegrinaggio giungeva a Roma attraversando le attuali Germania e Austria. Varcate le Alpi al passo del Brennero, i pellegrini incontravano località quali Vipiteno, Bressanone, Bolzano, Trento, Bassano del Grappa, Piazzola sul Brenta, Padova, Rovigo, Ferrara, Valli di Comacchio, Ravenna, Forlì, Santa Sofia, Bagno di Romagna e, superato l’Appennino al passo di Serra, vicino a La Verna, luogo di preghiera amato da san Francesco d’Assisi, in cui nel 1224 ricevette le stigmate, incontravano Subbiano, Arezzo, Castiglion Fiorentino, Cortona, Pozzuolo, Orvieto, Lubriano-Civita di Bagnoregio, Montefiascone, Viterbo, Sutri.
Questa via era stata molto praticata da popolazioni germaniche e scandinave prima della riforma voluta dall’ex monaco agostiniano Martin Lutero (1483-1546), il quale nel 1517, affiggendo a Wittenberg le sue 95 tesi, pose al clero la questione delle indulgenze, fino ad arrivare, pochi anni dopo, allo scisma con la Chiesa cattolica.
Oggi il recupero della Via Romea Germanica svolge anche l’intento ecumenico di fare dialogare protestanti e cattolici, in un’ottica intereuropea ma anche interna alla Germania, dove i protestanti (luterani e calvinisti) sono il 24,9 per cento della popolazione e i cattolici il 27,2 per cento (dati del 2019).

L’attuale Via Romea Germanica è un cammino di 2.200 chilometri, circa 1.020 nella sola Italia, ed è stata ricostruita in base agli Annales Stadenses (1236) dell’abate Alberto, che sotto forma di dialogo tra due monaci di fantasia, Tirri e Firri, riporta in dettaglio tappe e tempi di percorrenza del proprio viaggio di ritorno da una visita al Papa a Roma, affermando peraltro di preferire questo cammino alla Via Francigena, da lui percorsa all’andata.
Avrai due possibilità di attraversare gli Appennini: o da Bagno di Romagna o da Acquapendente. Ma ritengo che sia migliore la strada da Bagno di Romagna
Per la ricostruzione puntuale delle località anticamente toccate dal pellegrinaggio è stato fondamentale l’intervento di un antropologo e archeologo che vive nel Casentino, il Professor Giovanni Caselli, il quale aveva già contribuito a riscoprire la Via Francigena negli anni Ottanta. Intervista al Magistrato Alberto Viti, camminatore

D. Alberto Viti, tu svolgi il tuo lavoro di magistrato nel Nord Italia. Quest’anno, nel periodo estivo, hai trascorso un paio di settimane da “pellegrino” tra il Trentino-Alto Adige e il Veneto su una porzione della Via Romea Germanica. È il tuo primo cammino?
R. È da sette anni che percorro cammini: ho cominciato con Santiago di Compostela, in Spagna. Poi ho affrontato la Via Francigena fino a Roma. Lo scorso anno mi sono dedicato invece al Cammino Materano, da Bari a Matera, la città dei Sassi, tra le chiese rupestri e i paesaggi spettacolari delle murge.
Quest’anno ho pensato di riprendere a percorrere strade di pellegrinaggio attraverso la Via Romea Germanica, di cui si parla nelle cronache dell’abate Alberto di Stade.
In particolare, ho percorso il tratto dal Brennero a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova: dodici tappe in tredici giorni, quasi trecento chilometri
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D. Quali impressioni ti ha lasciato questo cammino?
R. Mentre cammini, tutto quello che ti succede ti rimane impresso. Ogni luogo lascia un ricordo vivido anche a distanza di anni. A volte i nomi si dimenticano, ma non le impressioni e le persone incontrate. Finalmente ti riappropri del tuo tempo e prendi contatto con la natura e con te stesso.

D. C’è anche un aspetto introspettivo nell’esperienza del cammino.
R. Nel mio caso i pensieri hanno risentito del mutare del paesaggio intorno a me. Ho avuto diversi stati d’animo a mano a mano che passavo dalla montagna alla pianura. Ho intrapreso il cammino da solo, ma mi hanno “accompagnato” tre fiumi, ognuno con il proprio “carattere”. Prima l’Isarco, che mi è apparso come un fresco torrente argentato tra il fitto dei boschi di abeti e larici; poi l’Adige, con il suo corso piatto, in un paesaggio verde molto curato, fatto di vitigni pregiati a perdita d’occhio e di meleti, in un clima, però, che si faceva sempre più caldo quanto più mi avvicinavo a Trento; infine il Brenta, che, vivace nel primo tratto a mezza montagna, quando si è allargato nella pianura veneta era in secca: ridotto a una pietraia. Ero affiancato per chilometri da una distesa di pietre incandescenti. La strada si snodava per metà sull’asfalto delle piste ciclabili e questo esasperava la sensazione di calore. Insomma, alla fine del mio percorso il caldo era infernale
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D. A chi percorre questi cammini sono richieste doti di resistenza.
R. Si può pensare che serva molta resistenza fisica, invece quello che occorre è soprattutto resistenza mentale. Durante l’anno non sono riuscito ad allenarmi, anche se a ridosso della partenza avevo trascorso qualche fine settimana in montagna. Tuttavia sul cammino avevo un bel ritmo e percorrevo senza difficoltà una media di venticinque chilometri al giorno, che è ormai la mia media abituale. A parte il momento iniziale, quando il fisico doveva abituarsi al fatto di camminare, i sentieri con i loro saliscendi non sono stati un problema. Certo, la sera rimanevo comunque sfinito e ricordo ancora con quanta fatica ho affrontato la prima salita.

D. Hai avuto problemi di solitudine o di orientamento?
R. In questi viaggi rimani spesso da solo, lo metti in conto. Ma non ho mai avuto alcun timore, neanche di perdermi, perché ho un buon senso di orientamento, inoltre la strada è ben segnalata con frecce arancioni e mi ero premurato di scaricare le tracce GPS prima di partire. Il grosso ostacolo per me, da un certo punto in poi, è stato il caldo. È stato questo a richiedermi una grande resistenza mentale, quella che ti permette di far fronte ai limiti di una situazione. Mi è stato raccontato di un austriaco che partiva all’alba per sfruttare le ore più fresche, ma io avevo bisogno di dormire per riprendere le forze e non partivo prima delle otto.

D. Rispetto alle altre vie che hai percorso hai notato qualche differenza organizzativa?
R. Ho notato un grande divario nel numero di partecipanti rispetto al cammino di Santiago di Compostela, famoso già dai primi anni Ottanta e praticato soprattutto dopo che papa Wojtyla vi organizzò la quarta Giornata Mondale della Gioventù. Anche nel mio cammino francigeno era raro che incontrassi pellegrini, però devo dire che qui avevo incontrato una persona speciale, Giovanni Corrieri: la sua idea è che il cammino deve essere inclusivo, accessibile a tutti, e ha molto curato sia l’aspetto delle accoglienze in Toscana, assicurando che ci fosse una buona ospitalità a prezzi contenuti, sia che ci fosse una buona segnaletica. Sulla Via Romea Germanica ho scambiato qualche parola solo con gli albergatori e con gli osti delle località da cui passavo o con qualche persona del posto che incrociavo nei paesi. Parlando con loro e notando la loro curiosità al mio passaggio ho capito che questa via in Italia è ancora poco conosciuta e praticata. In effetti, addentrandomi nei sentieri, mi sono sentito spesso un “pioniere”.


D. Pensi di riprendere in futuro la via da dove l’hai lasciata, visto che ci sono ancora località di grande interesse storico, artistico e religioso da scoprire?
R. Il bello di questi cammini è che ti portano a conoscere aspetti inediti di città che magari già conosci, come mi è capitato a Bolzano con il Messner Mountain Museum allestito a Castel Firmiano, ricco di interessanti oggetti legati alla montagna recuperati da Reinhold Messner, o di piccole località che altrimenti non avresti occasione di visitare, come Montefiascone o Sutri, su cui convergono la Via Francigena e la Via Romea Germanica. In quanto a proseguire la Via Romea Germanica lo farò certamente l’anno prossimo, cercando di scegliere una stagione meno torrida, come la primavera.


D. Nell’intraprendere pellegrinaggi sei motivato da un aspetto religioso?
R. No, non sono credente; anche se questo potrà stupire, avendo io percorso almeno duemila chilometri di vie antiche di pellegrinaggio.
Tuttavia amo i percorsi degli antichi pellegrini: i pericoli, come la fame e la sete, affrontati da quelle persone sono infinitamente superiori al disagio che posso patire io. Sono cose che inducono riflessioni
.

D. Subisci il fascino di attraversare un percorso che è una sorta di “museo a cielo aperto” in cui quasi si percepisce la presenza dei nostri antenati?
R. Certo. Oltre al Museo della Montagna di Messner, mi hanno dato questa sensazione i cimiteri dell’Alto Adige, che attraggono il viandante perché sono senza muri di recinzione e spesso si affacciano su splendidi panorami. Mi hanno impressionato in particolare i cimiteri di guerra, di soldati dell’Impero austro-ungarico che hanno combattuto contro di noi nella Prima guerra mondiale, giovani provenienti dall’Austria, dalla Boemia, dall’Ungheria, dalla Slovenia
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D. Cosa apprezzi maggiormente del trekking?
R. Il camminare in sé. Il piacere di camminare a lungo deriva dal fatto che si tratta di un atto naturale, che appartiene al nostro patrimonio genetico. L’Homo sapiens, comparso circa trecentomila anni fa, era camminatore perché cacciatore e raccoglitore. Poi, nel Neolitico, circa dodicimila anni fa, è diventato stanziale perché dedito principalmente all’agricoltura e all’allevamento. Dunque l’uomo è stato stanziale per meno del 5 per cento della sua storia. Credo che questo dato rappresenti una spiegazione in termini evoluzionistici del richiamo che il camminare esercita su di noi. Questo vincendo quel poco di “pigrizia” che il 5 per cento di “uomo neolitico” ci conferisce. Inoltre, parlando da magistrato, trovo che il trekking sia apprezzabile come terapia alternativa al carcere minorile.

D. Mentre è chiaro che i percorsi all’aria aperta facciano riscoprire al corpo e alla mente di questi ragazzi una dimensione di libertà che l’esperienza carceraria aveva limitato, in che modo un percorso di trekking può essere loro d’aiuto in senso terapeutico?
R. In anni recenti in Italia sono stati percorsi alcuni cammini con piccoli gruppi di ragazzi degli IPM (Istituti Penali per Minorenni) accompagnati da un educatore e da una guida. Sono stati coinvolti in interi pellegrinaggi, o più semplicemente in percorsi di una settimana, che hanno dato ottimi risultati.
Credo che l’esperienza del camminare a lungo, se interiorizzata, possa essere molto utile. In fondo i comportamenti “devianti” sono autolesivi, e questo vale tanto per gli adulti quanto per i minori: il cammino è un’esperienza di bellezza, e la bellezza secondo me è il miglior antidoto alla sofferenza e al disagio.

Intervista di Stefania Nigretti
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Ph Alberto Viti -Circolo Fotografico Bergamo 77
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