È stata un’autentica pioniera della street photography: parliamo di Vivian Maier, della quale a Milano sono esposti diversi scatti e un filmato in una mostra curata da Alessandro Mauro dal titolo Vivian Maier a colori presso la Fondazione Forma per la Fotografia, in via Meravigli 5, fino al 2 febbraio 2020.
Si tratta di una selezione di fotografie a colori, alcune delle quali inedite, scattate dalla fotografa tra gli anni Sessanta e Settanta perlopiù a Chicago.
Un libro di Contrasto che ha lo stesso titolo, Vivian Maier a colori, completa e approfondisce la mostra.
Vivian Maier nasce a New York l’1 febbraio 1926 da padre americano di origine austriaca, Charles Maier (forse nato Karl Mayer e di famiglia ebraica), e madre francese, Marie Jaussaud (1897-1975), originaria di un paesino, Saint-Julien-en-Champsaur, nel dipartimento delle Alte Alpi. I genitori avevano avuto anche un figlio, William Charles (1920-1977), più grande di Vivian di sei anni.
A causa del divorzio dei genitori, avvenuto quando Vivian aveva tre anni, la bambina viene separata dal padre e dal fratello, che andrà a stare dai nonni paterni.
Dopo avere vissuto per tre anni insieme con la madre nel Bronx presso un’amica di lei, la fotografa e scultrice francese Jeanne Bertrand (1880-1957), Vivian trascorrerà la sua prima giovinezza tra le valli del Champsaur. La Bertrand accompagnerà in Francia l’amica con la figlia: fotografa professionista, sarà lei a trasmettere alla piccola Vivian questa passione. Nel 1938, però, quando la ragazzina ha dodici anni, Marie e Vivian tornano in America. Nel 1941 la madre di Vivian l’abbandona per dedicarsi a una vita vagabonda ed Emilie Hauhmard di fatto le fa da governante: è attraverso di lei che imparerà questo mestiere.
Nel 1950, finita la Seconda guerra mondiale, Vivian si reca nuovamente nel Champsaur per vendere una proprietà ereditata dalla famiglia della madre.
Grazie al denaro ottenuto, acquista una Rolleiflex, una macchina fotografica professionale a pozzetto, silenziosa, che le consente di fotografare dando poco nell’occhio, e gira per il Nordamerica.
Nel 1951 diventa governante a Southampton. Nel 1956 si sposta a Chicago: viene infatti assunta da Nancy e Avron Gensburg per occuparsi dei loro figli John, Lane e Matthew. Vive con loro per diciassette anni, senza mai abbandonare la passione per la fotografia e utilizzando il proprio bagno privato come camera oscura.
Tra il 1959 e il 1960 la famiglia Gensburg prende una tata provvisoria per consentire a Vivian di fare un viaggio di sei mesi intorno al mondo. Visiterà le Filippine, la Thailandia, l’India, lo Yemen, l’Egitto, l’Italia e la Francia, dove si recherà ancora tra le valli del Champsaur per fare foto in bicicletta dei suoi luoghi del cuore.
Nel 1973, questa donna dai molteplici interessi, non solo fotografa ma anche divoratrice di film, di libri e di giornali, conclude il suo ciclo lavorativo dai Gensburg e prosegue l’attività di bambinaia per altre famiglie.
Eserciterà questo mestiere per quarant’anni, tra alti e bassi. Alla fine degli anni Novanta i fratelli Gensburg, affezionati alla loro “Mary Poppins” che, fattasi anziana, vive in ristrettezze economiche, si prendono cura di lei facendola traslocare in un alloggio grazioso e confortevole.
Verso la fine del 2008 Vivian cade sul selciato ghiacciato e batte la testa: i fratelli Gensburg intervengono ancora e si occupano della sua assistenza in una casa di cura. Vivian scompare poco dopo, il 21 aprile 2009, all’età di ottantatré anni.
Nel 2007 Vivian Maier non aveva più potuto pagare l’affitto del box in cui erano custoditi gli scatti di una vita e, all’insaputa della famiglia Gensburg, il contenuto inscatolato delle sue raccolte era stato venduto all’asta. Fu così che al collezionista John Maloof, alla ricerca di fotografie su Chicago, fu assegnata una ricchissima raccolta di materiale fotografico: negativi in bianco e nero e a colori, diapositive e filmati accuratamente imbustati.
Maloof, quando poté analizzare con calma i materiali, si rese conto di avere tra le mani immagini professionali di grande qualità artistica. Nel 2008, dopo avere passato allo scanner alcune delle oltre centomila immagini di cui era entrato in possesso, Maloof le pubblicò su Flickr, ottenendo un ampio consenso da parte degli altri utenti. Contestualmente avviò ricerche sull’autrice delle foto, che spesso, peraltro, compariva con un cappello calcato in testa in autoritratti realizzati ingegnosamente sfruttando immagini riflesse. Di questa donna, della quale aveva un nome scritto a matita su una busta come esile traccia, soltanto nel 2009 scoprì la vera identità attraverso un annuncio che purtroppo ne segnalava la scomparsa.
Nel 2013 John Maloof realizzò il documentario Alla ricerca di Vivian Maier sulla storia della sua scoperta e sui primi passi per una ricostruzione del personaggio della “tata fotografa”. Cominciò così il percorso di valorizzazione e di collocazione della figura di Vivian Maier nell’Olimpo della fotografia.
Il gioco dell’invisibilità permetteva a Vivian Maier di catturare con la sua Rolleiflex, oppure, quando passò al colore, con la sua Leica o con la sua Kodak, sguardi e situazioni. Il suo occhio coglieva rapido ogni dettaglio, anche cromatico, basti pensare alle tante donne dal cappello sgargiante presenti in mostra, o da quella di cui si vede il dettaglio della décolleté rossa in abbinamento alla gamba ingessata: donne capaci di rendersi protagoniste assolute. Il suo opposto.
Tra i suoi scatti, appaiono un’ampia gamma di sentimenti e un campionario variegato di atteggiamenti umani. Chissà se questa forma d’arte alleviava la sua solitudine o l’accentuava…
Traspare spesso, tra l’ironia, una vena malinconica, come nell’autoritratto, presente in mostra, in cui Vivian fa capolino, fin troppo seria, accanto all’immagine scanzonata di Clark Gable. Perché questa sua pratica così talentuosa non è emersa in tutta la sua magnificenza quando era in vita, come è avvenuto per altri fotografi americani della sua epoca?
Il suo sguardo poetico è ben rappresentato in mostra dalle mani intrecciate di due anziani. Il suo sguardo disincantato è quello che si posa sui bambini colti nei loro atteggiamenti più reali. Il suo sguardo in conflitto è condensato dai palloncini “multicolor” e festosi in contrapposizione con la serietà dell’uomo che li porta nella foto scelta a icona della mostra.
In ultimo, miracolosamente, l’invisibilità di Vivian Maier è “esplosa”, com’era giusto che fosse, ed è emerso il suo enorme talento creativo che l’ha posta doverosamente tra i grandi fotografi contemporanei.
Testi e foto di Stefania Nigretti
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