A un certo punto della sera e del mattino l'azzurro del Mediterraneo supera ogni immaginazione o descrizione. È il colore più intenso e meraviglioso, credo, di tutta la natura. Il mare, col vento in poppa e la prora rivolta alle Sirti, è il più fantastico teatro, che mente umana abbia potuto creare.
Tutti i popoli del mondo vi si sono incontrati e cozzati, come le nuvole nel cielo; città sono sorte e scomparse come spume; e il numero delle battaglie che vi risonarono, può eguagliarsi soltanto a quello delle tempeste.
Le onde indifferenti e solenni cantarono i funerali della civiltà e del dominio fenicio, egiziano, greco, romano, arabo, spagnuolo; canteranno un giorno il tramonto degli imperi di d'Inghilterra, e canteranno, un giorno più lontano, anche il nostro.
Quando mi chiedono che cosa resta, in questo nostro mondo cibernetico, di quel Mediterraneo quasi arcadico del ricordo, rispondo: "Per restare resta molto. Resta l'immenso paradiso infranto della memoria. Resta la magnifica nostalgia dei perduti splendori.
Restano la coscienza profonda di una storia condivisa, le spoglie delle civiltà da cui proveniamo, un presente postatomico con scorie industriali e una vegetazione radioattiva. Sono convinto che mai come oggi, pur vivendo in contesti sempre più dilatati, nei quali i contatti sono velocissimi, per resistere non dobbiamo mai abbandonare le nostre radici. Per diventare internazionali, dobbiamo appartenere a un Paese. Quel Paese, per me, è il Mediterraneo, che è sterminato patrimonio di culture e di visioni.
Ph Debora SANNA
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