La Humanoid Society di Kohei Ogawa

La Humanoid Society di Kohei Ogawa

A Meet the Media Guru, si parla della relazione fra persone e robot androidi e del futuro di una Humanoid Society.
Non dovremmo aver paura dei robot. A dirlo è Kohei Ogawa, ricercatore e docente di robotica e intelligenza artificiale all'Università di Nagoya in Giappone.
Da tempo studia l'interazione tra persone e Androidi, robot che assomigliano sempre di più agli esseri umani nell'aspetto e nei comportamenti.
Ogawa ha fatto parte del team che ha sviluppato Erica, Androide ultra-realistico capace di interagire autonomamente e mostrare una varietà di espressioni facciali complesse, al punto da presentare anche un telegiornale.
Nella cornice del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, di Milano, la sera di giovedì 7 novembre  Meet the Media Guru ha ospitato Kohei Ogawa.
Scopro che proprio a Nagoya, nel Diciassettesimo e Diciottesimo secolo, erano in voga le marionette meccanizzate chiamate "karakuri ningyo".
La mente corre allora verso  Leonardo da Vinci (1452-1519), con il suo soldato meccanico: dal 2013 a Milano in una sala della mostra permanente "Il Mondo di Leonardo", in piazza della Scala con ingresso in Galleria Vittorio Emanuele II, c'è una ricostruzione del Soldato meccanico in armatura che il genio toscano avrebbe inventato a presidio di torri difensive secondo diversi disegni di ingranaggi, tiranti e meccanismi, messi in relazione con l'anatomia umana, ritrovati sparsi in alcuni suoi documenti. L'evento era inscritto nel ciclo di incontri Meet the Media Guru, per fare il punto sulla cultura digitale, aggiornare e tenere vivo l'interesse su un contesto in continua e creativa evoluzione.

La giornalista e studiosa Maria Grazia Mattei, presidente del neonato Meet, centro internazionale di cultura digitale, ha fatto gli onori di casa anche in quanto ideatrice dal 2005 del nucleo originario di questa piattaforma.
Il progetto è stato definito nomade da Mattei, in attesa che il Meet occupi la sede che è stata a lungo dello Spazio Oberdan. Il pubblico, variegato, internazionale e con una componente di giovani numerosa, e il "guro" in questione sono stati ripresi da una folta schiera dai fotografi dell'Accademia di fotografia John Kaverdash di Milano. Nell'attesa dell'arrivo della star giapponese, scorrevano su un megaschermo immagini in loop, tra le quali colpivano quelle relative a un robot impegnato a preparare la pasta al sugo, un comportamento appartenente al vissuto se non al quotidiano di molti di noi.
Prima dell'inizio della conferenza, una voce ha pregato di non spegnere i dispositivi mobili, cellulari, tablet e quant'altro, bensì di tenerli accesi, fornendo addirittura indicazioni dell'hashtag per i social network, utili per accendere il dibattito tra i partecipanti o per formulare domande, insomma per dinamizzare la serata rendendo lo spettatore attivo e creare un feedback con il ricercatore giapponese. Quando finalmente è apparso Kohei Ogawa con grande naturalezza ci ha illustrato lo stato dell'arte delle sue ricerche, volte a indagare l'interazione tra persone e robot umanizzati nelle sembianze e nei movimenti facciali. Sarà stata ancora la suggestione del luogo, ma mi è venuta in mente la fisiognomica leonardesca, la ricerca di un legame tra fisionomia e moti dell'anima. Tra anatomia ed emozione. La notizia è che le somiglianze dei robot con noi esseri umani sono arrivate a comprendere il linguaggio usato in modo dialettico, in un botta e risposta abbastanza fluido, anche se ancora con diversi inciampi. La sorpresa nel vedere l'androide più evoluto, una "giornalista" di nome Erica, cimentarsi in un dialogo con una persona è stata grande.
Kohei Ogawa  ha sottolineato gli aspetti di criticità ancora presenti, come la necessità che il luogo dove opera l'androide debba essere perfettamente insonorizzato. Complice forse una letteratura fatta di libri di fantascienza e di film memorabili, ci si aspetterebbe che l'androide ci capisse perfettamente in ogni situazione, ma noi abbiamo un linguaggio estremamente complesso, poco prevedibile e difficile da codificare. Insomma, le nostre aspettative sono troppo alte riguardo agli androidi allo stato dell'arte.

Eppure per arrivare ad androidi che comunicano autonomamente con le persone come Erica si è dovuti passare da telenoidi, di aspetto appena abbozzato, privi di arti e ben poco attrattivi, che prendevano spunto da "cuscini parlanti" detti hugvie, che almeno avevano il pregio di rassicurare con il loro morbido abbraccio, ai geminoidi, doppioni teleguidati di esseri umani, fino ai minami, come la "commessa" di un grande magazzino, definiti "manichini intelligenti" perché semiautonomi. Kohei Ogawa ci ha regalato poi una suggestione valutando come l'importanza dell'immaginazione giocasse un ruolo fondamentale nel nostro approccio al robot e prendendo spunto dal volto serafico di un Buddha: proprio questa immagine poteva essere in qualche modo trasferita sul volto di un androide per renderlo più gradito a una comunità buddhista. Il momento magico della serata è stata la visione dell'esecuzione del "direttore d'orchestra" Robot Alter3 nell'opera Scary Beauty del compositore e pianista Keiichiro Shibuya.
Quell'androide, di cui si vedeva ampiamente la struttura interna, che muoveva le "braccia" tra musicisti reali era di una poeticità unica. Come un sogno avvolgente. Un sogno tradotto in realtà. Di tempo ne è passato da quando Leonardo, alla corte degli Sforza, presentò il suo "robot tamburino", un automa meccanico di cui c'è traccia sul "Codice Atlantico". Ma lo stupore, questa emozione così umana, è stata la stessa di allora.

Meet the Media Guru nasce a Milano nel 2005 come piattaforma di disseminazione della cultura digitale e dell'innovazione da un'idea di Maria Grazia Mattei. Nel 2018 MtMG ha dato vita con Fondazione Cariplo a MEET, centro internazionale per la cultura digitale. MEET si prepara ad inaugurare la propria sede fisica a Milano in piazza Oberdan in un ambiente "sense and respond" riprogettato dall'architetto Carlo Ratti.