Via Postumia: il resoconto di Andrea

Via Postumia: il resoconto di Andrea

Adesso è tutto bianco a Martignana di Po, in provincia di Cremona, il paese in cui vive Andrea Devicenzi, atleta Paralimpico, mental coach e formatore esperienziale. La neve ha coperto i tetti delle case e della chiesa di Santa Lucia, i campi e la Via Postumia, la strada tracciata dai Romani nel 148 a.C. a poca distanza dall’abitato. Siamo al centro della Pianura padana. Avevamo intervistato Andrea in tutt’altro scenario nel mese di marzo, quando progettava di intraprendere l’intero cammino della Via Postumia, un itinerario di 930 chilometri con partenza da Grado, in Friuli, antichissimo porto romano al servizio di Aquileia, e arrivo a Genova. Un tempo quasi lineare, a eccezione del tratto finale, questa strada consolare che congiungeva l’Alto Adriatico con il Mar Ligure è stata riscoperta da Andrea Vitiello e dagli “Amici della Via Postumia”, i quali ne hanno fatto una moderna greenway.
Fra le tappe, si snodano le località più importanti della Via Postumia antica. L’itinerario, indicato da frecce gialle, restituisce agli occhi del camminatore paesaggi naturali e culturali di pregio, con diversi luoghi Patrimonio dell’Umanità e Borghi più belli d’Italia. Il terreno è perlopiù pianeggiante, quindi facile da percorrere, ma non mancano le colline, nel Veneto (Colli Berici) e nell’Oltrepò pavese, e le aspre montagne appenniniche quando la strada piega in direzione di Genova.
Andrea è partito in pieno solleone: per compiere il suo trekking, aperto a chiunque fosse interessato a condividerlo con lui. Ha approfittato della finestra di tregua estiva dalla pandemia da Covid-19, quando si sperava che il peggio fosse alle spalle.
Il 21 agosto, ha “immerso lo scarpone” nell’Adriatico a Grado ed è giunto ad Aquileia, baluardo difensivo romano di primaria importanza. In quarantotto tappe, il 17 ottobre, come da programma, ha infine raggiunto Genova. Andrea ha attraversato sei regioni compiendo il suo percorso in tre tranche, con due soste un po’ più lunghe a Vicenza e a Martignana di Po. Fra le tappe della Via Postumia attraversate da Andrea si alternano centri “minori”, con comunità piccole e ospitali, e grandi città, tutte accomunate dall’essere antiche quanto la strada romana che ne costituiva il “cardo” più di duemila anni fa.
Tra queste: Aquileia, Concordia Sagittaria, Oderzo, Treviso, Castelfranco Veneto, Cittadella, Vicenza, Verona, Cremona, Piacenza, Voghera, Tortona e Genova.
Andrea Devicenzi ha avuto l’idea originale di trasformare il suo trekking lungo la Via Postumia in una occasione unica per conoscere in profondità il territorio padano e chi ne sa trarre il proprio sostentamento da generazioni.
La Via Postumia si è trasformata in un “osservatorio socioeconomico" a cielo aperto. Andrea ha impostato il suo viaggio con l’intento di valorizzare le eccellenze culturali, paesaggistiche ed enogastronomiche locali, con il desiderio di metterne in luce il meglio delle attività agricole, artigianali e imprenditoriali che costituiscono un patrimonio di conoscenze, grazie alle quali guardare con speranza al futuro. L’imprenditoria di questi luoghi, infatti, è cresciuta su un tessuto agricolo e artigianale fortemente radicato.

Andrea, qual è l’impressione generale che hai ricavato dalla tua esperienza sulla Via Postumia?
È stata una esperienza bellissima. Non posso che farne un resoconto positivo perché mi ha arricchito di rapporti umani oltre ogni aspettativa. È stato un cammino meno introspettivo rispetto alla Via di Francesco e alla Via Francigena che ho praticato negli ultimi anni, ma di grande apertura verso gli altri. Di questo devo ringraziare Bianca Barandoni, che si è occupata di predisporre i miei incontri con amministratori e imprenditori nelle diverse tappe e anche di scegliere dove avrei pernottato. Quando sono in cammino ho una soglia di adattamento molto alta e non mi faccio problemi su dove dormire. Sono stato bene ovunque, sentendomi a mio agio qualunque fosse la tipologia di pernottamento: dal Bed & Breakfast all’hotel, dall’albergo di lusso alle case private o agli agriturismi.
I mezzi di comunicazione e il tam tam dei social media hanno dato risonanza alla mia iniziativa man mano che procedevo nell’itinerario. Grazie alle tante testimonianze raccolte, alle immagini e alle mie riflessioni sono in corso di realizzazione un libro e un documentario su questa mia esperienza, unica nel suo genere.
Luca Rovelli, videomaker e fotografo, mi seguiva tappa dopo tappa in sella alla sua
mountain bike.
Tante persone sono state felici di conoscermi e di condividere con me le loro esperienze: mi hanno fatto compagnia negli spostamenti, in momenti conviviali come i pasti, ma anche semplicemente per prendere un caffè insieme.
Al nostro arrivo nelle quarantotto tappe abbiamo incontrato almeno una trentina di Amministrazioni. È bello arrivare in una località, essere accolti dal primo cittadino e sentire da lui il racconto di borghi ricchi di storia e di iniziative, proiettati nel futuro. Ho attraversato territori industriosi, che avevano una grande voglia di riprendersi dopo il primo lockdown
.


Com’è stato il percorso dal punto di vista della fatica? 930 chilometri sono tanti.
Ho voluto dare un esempio di forza nonostante le difficoltà. L’accoglienza dei friulani è stata incredibile e mi ha dato un bello slancio iniziale. Nella prima tratta, così come nell’ultima, mi ha accompagnato Simone Pinzolo, con il quale condivido la passione per il trekking. Dopo il Friuli, quando ero già in Veneto, non lo nego, ho vissuto un momento difficile, certamente non dovuto all’asprezza del terreno perché eravamo in pianura. Ci siamo dovuti abituare al caldo umido, che in certi momenti era francamente insopportabile e ci costringeva a partire molto presto la mattina per evitare le ore peggiori.
L’affetto dei Veneti me lo sono dovuto conquistare, ma poi è arrivato con incontri che hanno spazzato via ogni diffidenza.
In Lombardia, invece, “giocavo in casa”. Però, appena partiti da Martignana di Po, siamo stati colti da un acquazzone di sei ore. L’ultima parte del viaggio è quella che ha richiesto il maggiore impegno fisico per i dislivelli, ma il clima nel frattempo era cambiato e in certi momenti faceva perfino freddo. A proposito della pianura padana, bisogna sfatare un mito: non è affatto “piatta” come si dice.
È piena di sfumature di colore, di parchi che sono riserve naturali, di torrenti e fiumi. Procedere con lentezza ti consente di vedere l’avifauna a pochi metri di distanza

Che impressioni hai avuto nel giungere alla meta?
La tratta dell’Appennino ligure è la più dura, ma verso la fine, quando sei a cinque chilometri da Genova e vedi dall’alto il mare a perdita d’occhio e con lo sguardo abbracci la città, non puoi non emozionarti. Ci siamo fermati ad ammirare la vista spettacolare, contenti di essere a un passo dalla meta e di vedere il mare.


Quest’anno il tuo cammino è stato anche il terreno di prova definitivo per le katana, le stampelle ultratecnologiche ideate da te, che usi quando fai trekking ma anche nella tua quotidianità.
Queste stampelle, che quando cammino formano un tutt’uno con le braccia, fanno un grande lavoro perché sostengono il corpo quando la mia unica gamba è sollevata. Ho perso la gamba sinistra per un gravissimo incidente in moto all’età di diciassette anni. Grazie alla mia pluridecennale esperienza, però, mi sono fatto un’idea precisa di come volevo che fossero le mie stampelle ideali.
Poi sono passato dalla fase ideativa e di progettazione alla realizzazione delle katana. Hanno una forma dinamica, che le rende adatte al movimento, e sono a sezione ellittica: questo le rende uniche nel panorama delle stampelle. Hanno un aspetto tecnico più che da dispositivo medico.
Sono in fibra di carbonio, materiale che le rende leggere e resistenti. E poi assorbono gli urti, sono a impugnatura verticale, che imposta la posizione corretta del polso, hanno manopole studiate per il pieno appoggio della mano. Senza contare che hanno sulle punte che impattano sul terreno gommini resistentissimi all’usura, fatti di un materiale di grande qualità.
La caratteristica che me le ha fatte apprezzare enormemente in questa esperienza sulla Via Postumia sono proprio le manopole, che mi hanno evitato vesciche e piaghe. Certo, ogni tanto facevo crioterapia immergendo le mani in acqua fredda, ma devo dire che l’impugnatura ergonomica è stata la mia salvezza
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Queste stampelle che hai testato definitivamente nel lungo tragitto della Via Postumia sono formulate per tuo uso esclusivo?
Sono perfette per la mia persona ma ho cominciato da un po’ a farle sperimentare anche da altri, perché si possono adattare nel senso della lunghezza e vanno bene per diverse altezze. La mia ambizione è di diffonderle il più possibile per consentire a tanti giovani e meno giovani di vivere in sicurezza le stesse esperienze di vita attiva che conduco io.
È un prodotto artigianale rifinito a mano, quindi dal costo non contenuto: del resto voglio produrre uno strumento di qualità assoluta, garantita pezzo per pezzo.
Mi piacerebbe dare vita a un sistema di noleggio per renderle accessibili a chi non può permettersi grosse spese o a chi può averne bisogno per periodi limitati, magari per un problema passeggero
.


Il 2020 è stato un anno difficile per tutte le categorie di lavoratori, anche per i piccoli e medi imprenditori. In seguito alla tua esperienza, che cosa ti senti di dire?
Agli imprenditori, soprattutto ai più giovani, voglio fare passare il messaggio che con la preparazione, la programmazione, l’impegno e la solidarietà si possono superare i momenti più duri. La situazione di crisi mondiale si è sommata, in Italia, al problema del ricambio generazionale. Il passaggio di testimone alle nuove generazioni è un momento delicato che molte aziende che hanno operato bene per decenni devono fare, rinnovandosi per rimanere competitive.
A questo proposito, attingo al racconto che mi hanno fatto un padre e un figlio imprenditori durante la mia esperienza sulla Via Postumia
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Puoi condividere con noi questo racconto di vita?
Mentre era in corso il primo lockdown, un imprenditore vinicolo e suo figlio si sono parlati a cuore aperto. Era in gioco il futuro dell’azienda nei decenni a venire, nel senso che il padre avrebbe voluto lasciare la sua eredità professionale, fatta di grandi sacrifici, a qualcuno che fosse in grado di raccogliere la sfida dell’innovazione con serietà e impegno. Il figlio si sentiva in grado di operare un cambiamento e il padre gli ha dato fiducia, concedendogli un piccolo credito e raccomandandosi di non superare il budget.
Dati i tempi, ogni nuovo prodotto va curato nei minimi dettagli, dalla selezione dei vitigni alla grafica dell’etichetta da apporre sulle bottiglie. Il figlio ha intrapreso una filiera produttiva orientata alla sostenibilità, scegliendo persino tappi di materiale biodegradabile. Ha fatto un lavoro egregio in totale autonomia. Ha avuto il lampo di genio, ha dato vita a un nuovo vino adatto agli aperitivi, facilmente esportabile per alcune caratteristiche.
Ha messo le mani in pasta in ogni fase del lavoro e, da ultimo, grazie a un mercato dove l’azienda aveva già operato, è riuscito a vendere all’estero tutta la prima produzione. Nel momento della paralisi generale, il figlio ce l’ha fatta: è stato capace di andare da “zero” al prodotto finito, ha dimostrato a sé stesso e al padre di potercela fare
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Non è sempre facile il dialogo tra generazioni così diverse: è in atto una rivoluzione nel mondo del lavoro.
Eppure è proprio l’esperienza concreta degli anziani unita ai talenti e alla creatività dei giovani a potere dare linfa nuova all’economia. Gli anziani devono dare fiducia ai giovani, ma i giovani devono sporcarsi le mani e non pensare che sia tutto facile come in un videogioco. Se non si dà spazio ai ragazzi, se non li si incentiva a mettersi in gioco, loro finiscono per sovrastimarsi e poi andare incontro al fallimento oppure al contrario per sottostimarsi pensando di non avere le qualità necessarie.
Ma senza di loro un grande patrimonio rischia di andare disperso. I giovani che accettano la sfida con umiltà, superato il momento critico, possono pensare: “Io quella volta ce l’ho fatta”.
Vorrei sottolineare che, oltre alla tenacia, alla resistenza e alla resilienza, che sono caratteristiche indispensabili nei momenti d’incertezza come questo, la passione per le cose che si fanno è fondamentale. Se consideri le imprese di successo, scopri che per il 99 % derivano della passione di un imprenditore che ha avuto il coraggio di mettere in pratica la sua “visione
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Intervista di Stefania Nigretti

Ph courtesy Andrea Devicenzi
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